sabato 25 febbraio 2012

''Luca era gay'', canta Povia.

In tutto ciò che leggo si parla d'amore.
Anche in maniera velata, anche quando non c'entra.

Io ho 25 anni e mi sono innamorata due volte.
O forse tre.
Diciamo due volte e mezza.

Quando penso al passato, al mio essere innamorata in passato, tendo a sminuirmi, a ridicolizzarmi.
Assumo un atteggiamento critico e non riconosco la maternità delle azioni che ho compiuto sotto l'effetto di tutte quelle endorfine.

Da lucida tutto mi sembra estraneo, assurdo, lontano da me.

Anche se lucida non sono mai sul serio, sono solo innamorata di una cosa diversa, presa da un'altra passione che spegne il fuoco del vecchio ardore, che prende a nausearmi.
I miei amori per cose e persone finiscono tutti in nausea, infatti.

Col tempo questo effetto collaterale ho imparato a smorzarlo perché mollo la presa prima dei conati.

Ma prima no.
Mi ingozzavo e poi vomitavo, ovviamente.

Come con le canzoni.
Da piccola ero in fissa con ''Gente come noi'' di Ivana Spagna.
La sentivo duecento volte al giorno.
A ripetizione.
Come quelli che si accendono la sigaretta col mozzicone di quella che hanno ancora in bocca.

Giorno dopo giorno la amavo di meno, ma continuavo.
Per abitudine.
Poi d'improvviso il vomito.

La canzone che amavo si era trasformata nella mia kryptonite.
Un altro ascolto e avrei potuto morire tra quelle note.

Ancora oggi, se una radio melensa la butta fuori, sento una piccola fitta allo stomaco.
Non vomito più, certo, come non fanno più male i vecchi amori.

Mi rimane solo un senso di leggero fastidio che si fa largo tra i ricordi.

Nelle due volte e mezza che mi sono innamorata, una è stata particolarmente destabilizzante.
Ero totalmente persa.
Sembravo più l'adepta di una setta che una ventenne innamorata.

Ero totalmente nelle sue mani, che chiudeva a pugno per stritolarmi.
Faceva male ma io glielo permettevo.

Un male non fisico s'intende, ma non meno doloroso.

Era mezzo inglese, mezzo pazzo, mezzo attore e completamente scapestrato.
Era bugiardo e senza meta e non potevo non innamorarmene.

Siamo stati insieme per un po', poi mi lasciò perché forse ero rimasta incinta.

Così non fu, ma lo scampato pericolo non fu sufficiente a riunirci.
La sconcertante scoperta della mia fertilità si rivelò un peso troppo grande da sopportare per lui.

Rimasi per lunghi mesi innamorata, abbandonata e mestruata.
Con vitali interruzioni mensili del flusso.

Fino a quando decisi che era giunto il momento di riprendermelo.
Nessuno sciolga ciò che coglioneria ha unito.

Così corsi nella città in cui si era trasferito e gli gridai tutto il mio amore.
Sfortuna volle che lui provava lo stesso e ritornammo insieme.
Tre giorni di coccole e smancerie, fino a quando al tavolino di un caffè mi disse d'esser gay.

Ma senza tanti giri di parole, senza star lì a pensare alla forma.
Così.
Con la faccia seria ed indaffarata del veterinario che ti dice che il tuo cane ha la leishmaniosi.
Sarà anche brutto sentirselo dire, immagino, però prima iniziamo le cure più possibilità abbiamo di limitare i danni.

Non so cosa esattamente si aspettò da me in quell'istante.
Io so cosa mi aspettai da lui.
Una frase che non arrivò mai : ''Sto scherzando'' e giù di grosse risate per questa memorabile battuta.

Ero così stordita dalla rivelazione che nemmeno lo lasciai e infatti rimanemmo insieme altri mesi.
Mesi nei quali provavo per lui la stessa attrazione che si prova guardando i batuffoli di polvere nell'angolo della stanza.
Ti fanno un pochetto schifo, ma oramai ci sei anche abituata.

Dopo un po' chiaramente ci lasciammo.
E lui iniziò la sua vita gaia.
Io continuai la mia, cercando di spurgare l'effetto delle droghe che mi aveva inconsapevolmente fatto assumere.
Ancora non riesco ad accettare l'idea che così non fosse.
Escludo la possibilità di assumermi la responsabilità in prima persona per un simile scellerato comportamento.

Lo scorso novembre passeggiavo in Via Torino a Milano.
Erano le 20 e i negozi erano quasi tutti chiusi.
Guardavo annoiata le vetrine perché non avevo voglia di tornare a 'casa'.

Di fronte da Carpisa alzo gli occhi e lui era lì.
Mi ha visto e, incredulo e festoso, mi ha salutata.
Aveva una bambina di pochi mesi in braccio.

Mi abbraccia, lo abbraccio cercando di non far male alla creatura.
Mi guarda e mi dice: ''Sì, è proprio quello che stai pensando!''.
Io in quel momento avevo il vuoto totale in testa, non sarei stata in grado nemmeno di ripetere la tabellina del due figuriamoci decodificare la situazione o capire che cazzo voleva che dicessi.
Così lui mi viene gentilmente incontro come mai aveva fatto in passato.
''Lei, lei è mia figlia. Sono padre ora. E sono anche un marito. Oddio non per la legge ma è come se lo fossi''.

Cioè lui voleva che capissi questo?
Cioè dopo che i social network me lo hanno riportato nella mia rete e mi hanno fatto vedere tutte le relazioni che ha avuto fino a due anni fa con i gay di mezza Europa, Germania in particolare, io avrei dovuto capire questo?!
Cioè io avrei dovuto capire che un gay col cappotto e una bambina in braccio fosse un padre e un quasi marito?
Ringrazio per la fiducia dimostrata alla mia intelligenza ma il binomio gay-bambini per me porta automaticamente alla chiesa, all'oratorio, alla repressione di un istinto vitale che assume così forme patologiche.

Giuro che non avrei mai voluto né creduto di interpretare un ruolo, seppur secondario, nel testo di una canzone di Povia.
So che da piccola ascoltavo Ivana Spagna, ma non me lo merito.





 

2 commenti:

  1. A ben vedere fare un figlio è pura biologia, non è necessario essere etero, basta un individuo del sesso opposto.
    Quel che forse non ti meritavi era una vita a fianco di una persona insicura dei propri sentimenti.

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  2. Mai dubitato delle sue capacità biologiche. Avrei dovuto dubitare di molto altro invece.

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