lunedì 30 gennaio 2012

Ex tunc

Si parlava di sogni intesi come attività onirica.
Ognuno di noi raccontava i più divertenti, i più angoscianti, i più.
La mia amica Flavia non ne aveva uno da raccontare al momento, o forse non voleva.
Così, da psicologa in erba, da sempre preferita al fumo, ci dice:
''Io dei sogni so quello che tutti sanno!''.

Ho l'impressione di non sapere mai la nozione che segue l'introduzione ''quello che tutti sanno''.
Ma questo è solo un mio debole, conseguente al fatto che mi senta sempre sotto esame.
E vale anche al contrario.
Quando qualcuno inizia una frase con ''ti dico una cosa che di sicuro non sai'' e simili, mi viene sempre da sperare di saperla quella cosa lì al solo scopo di smentire l'interlocutore.
Cosa ne sai tu di cosa so o non so io!

Ed è proprio questo mio bisogno di segnare punti sul tabellone immaginario della vita, o delle conversazioni fatte in vita, che mi spingeva in età adolescenziale a dover imparare a tutti costi la definizione del fuorigioco calcistico.
Non perché me ne fottesse realmente qualcosa ma perché a quell'età impressionava i maschi.

Non sono mai riuscita ad impararla sul serio.
A volte scrivevo anche la definizione, rubata da qualche libro o chiesta a mio padre, oramai stremato, e la ripetevo per ore ed ore con gli occhi chiusi e il corpo trasportato da un ipnotico movimento oscillatorio.
Quanto tempo sprecato!
Avrei potuto trascorrerlo a strapparmi le doppie punte come tutte le adolescenti.

Poi crescendo ho smesso di voler impressionare chi voleva che lo facessi con argomenti calcistici.
Da quel momento in poi non ho fatto grandi salti di qualità, a dire il vero.
Aspetto ancora il mio Dulbecco.

Ma ho di sicuro smussato questo infantile approccio competitivo nelle conversazioni, che tra l'altro è tipico di mio padre, con mia madre che pende incantata dalle sue labbra.
Ecco io non volevo pendere, volevo che da me si pendesse.

Ora fortunatamente mi reggo su altri equilibri.
Le conversazioni costruite in due, in tre, in quattro, in quattordici, in quaranta, in cui impari, insegni, smentisci, ti contraddici, confermi, menti, neghi, inventi, vieni zittito, ipotizzi, taci, ascolti, vai oltre, sono le mie preferite.

Ma torniamo ad Effe e a quello che tutti sanno.
Le persone protagoniste dei nostri sogni, o semplicemente gli oggetti, altro non sono che parti di noi.
Io mica lo sapevo!

Quando sogno mia zia ho sempre pensato di sognare mia zia, non la parte stronza e cattiva di me!
Sì, non stravedo per lei.

E di sicuro non lo sa neanche Ilaria che ogni due o tre mesi mi chiama e mi dice: ''Ho sognato che morivi perché una macchina ti travolgeva. Dio come piangevo! Come stai?''

Sto bene, grazie. Ma ho un po' paura ad attraversare la strada, ora.

Alla luce di questa affermazione, sconosciuta solo ad Ilaria e a me, rileggo i miei sogni con tutt'altra interpretazione.
Ho archivi di vecchi sogni da rivedere e ricatalogare.

Sarà un lungo lavoro e assolutamente necessario dato il carattere retroattivo di questa scoperta.

1 commento:

  1. non lo so.

    a volte rimaniamo impressionati da quanto ci viene detto.

    e quindi rileggiamo la nostra vita in funzione di ciò.

    la psicanalisi ci ha costruito teorie su teorie sui sogni, dalla famosa "interpretazione dei sogni" di Freud in avanti.

    bè, di certo sono energie psichiche, ti direi.
    di certo parlano di noi.
    però proprio "razionalizzare" i sogni mi pare assurdo in partenza visto che sono fatti spesso di simboli che e proiezioni che hanno significato solo in quel contesto e che perdono di senso se analizzati nello stato di veglia...

    quindi non so dirti, in realtà.

    RispondiElimina